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Il potenziale di rischio di insetticidi e rodenticidi è tanto più alto quanto più si utilizzano molecole sintetiche di ultima generazione.

Queste sostanze sono molto efficaci anche a concentrazioni estremamente ridotte, ma hanno un profilo tossicologico fortemente negativo.

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RODENTICIDI

RODENTICIDI

Le molecole più utilizzate nei sono Bromadiolone, Brodifacoum, Difenacoum, Chlorophacinone, molecole del gruppo chimico delle Idrossicumarine, che sono state immesse sul mercato già nei primi anni ‘80 del ‘900. Sono sostanza anticoagulanti anti-vitamina K (AVK), il che significa che dopo essere state assorbite attraverso l’intestino, queste sostanze agiscono a livello del fegato e neutralizzano la Vitamina K e impediscono la sintesi di alcuni fattori della coagulazione del sangue.
Il successo di queste sostanze è dovuto al fatto che sono risultate più efficaci rispetto a molecole di 1a generazione, verso le quali topi e ratti avevano mostrato di aver acquisito resistenza, dopo tanti anni di utilizzo.

Oggi però si conosce bene il “profilo ecotossicologico” degli AVK, cioè l’insieme degli effetti riscontrati per ingestione o semplice contatto. Tutte sono risultate altamente tossiche sia per altri animali non bersaglio (cani, volpi, tassi, uccelli e pesci), sia per la nostra specie. Gli effetti sulla salute umana sono molteplici, per lo più agendo come "interferenti endocrini" un modo tecnico per dire che modificano la risposta delle cellule di alcuni organi nei confronti di ormoni e altri segnali biologici. Inoltre le idrossicumarine sono sospetti cancerogeni, tossiche per la riproduzione e infine risultano neurotossiche per organi come cuore, fegato, reni, polmoni e per il sistema nervoso, in caso di esposizione prolungata e provocare emorragie o addirittura risultare letali se ingerite o inalate.

Prodotti ratticidi contenenti variabili percentuali di queste sostanze si possono acquistare molto facilmente, in negozi per la casa, ferramenta e giardinaggio, ma anche on line.
Si commercializzano come esche sotto forma di blocchetti solidi liberi, in grani oppure in pasta morbida contenuta in sacchetti monodose. Per la loro pericolosità, devono essere maneggiati con i guanti e posizionati all’interno di dispenser che impediscano l’accesso al veleno da parte di bambini o altri animali, come cani e gatti di casa.

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INSETTICIDI

INSETTICIDI

Come per gli anticoagulanti AVK, anche i pesticidi piretroidi e gli organofosforati utilizzati contro le zanzare nella lotta adulticida hanno effetti negativi, diretti e indiretti, anche molto gravi sull'ambiente e sulla salute umana. Queste sostanze sono di diversa origine chimica ma condividono molte proprietà.
Poichè vengono irrorati tramite diffusori spray o nebulizzatori, le particelle di insetticida si disperdono nell’aria e dopo un breve intervallo si depositano sulle superfici di edifici, piante, arredi urbani o in acqua.

Molecole come Alletrina, Cipermetrina, Permetrina, Deltametrina, Tetrametrina, Piperonyl butoxide e altre sono altamente tossiche in ambiente acquatico, con lievi differenze da molecola a molecola, e risultano letali per pesci, crostacei e invertebrati acquatici, in particolare per lo zooplancton. Questo significa che l’intera catena alimentare acquatica può essere compromessa.
In ambiente terrestre queste molecole risultano molto tossiche anche per tanti insetti, come le api o altri impollinatori, con gravi conseguenze quindi sulla riproduzione delle piante di valore sia dal punto di vista agroalimentare, sia da quello della biodiversità.
Gli effetti dunque non si fermano dopo aver eliminato le fastidiose zanzare.

Pensando alla salute umana, anche in questo caso gli effetti sono allarmanti: inalazione o contatto prolungato con queste sostanze possono avere effetti immediati (irritazione, congestione, danni a reni e fegato) e danni più di lungo termine che vanno dal provocare la morte cellulare (citotossicità) alla formazione di cellule tumorali (carcinogenicità) o anche all’immunotossicità, cioè al danneggiamento del Sistema Immunitario.
Anche i piretroidi risultano essere “interferenti endocrini” ad esempio influenzano l'azione degli estrogeni e degli androgeni. Altri sono tossici per la riproduzione o le fasi di sviluppo embrionale, soprattutto per lo sviluppo del sistema nervoso, provocando danni simili alla malattia di Parkinson.
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PAROLE CHIAVE

PAROLE CHIAVE

Una serie di parole sono spesso usate dagli specialisti per descrivere le proprietà o gli impatti delle molecole biocide usate nelle esche o nei trattamenti di disinfestazione. Vediamo di chiarire qualche concetto in modo semplice.

PERSISTENZA: Solitamente le molecole chimiche sono soggette a trasformazioni spontanee quando entrano in contatto con altre componenti chimiche o fisiche, come l’acqua, i raggi UV o altre sostanze con proprietà acide o basiche. Alcune molecole perciò possono degradarsi o trasformarsi rapidamente, altre invece restano stabili e sono loro a provocare la degenerazione o trasformazioni delle cellule o dei tessuti in cui sono accumulate. Piretroidi e anticoagulanti possono rimanere inalterati nel suolo o in acqua da un minimo di poche ore fino a circa 30 giorni, ma in certi casi anche 100 giorni e oltre, continuando a propagare i loro effetti tossici o cancerogeni per tutto il tempo.

CONTINUITÀ ECOSISTEMICA: Inoltre, le seppur minime concentrazioni di molecole biocide presenti nelle esche e negli insetticidi sono comunque in grado di restare sul terreno ed essere dilavate dalle acque piovane. Prima o poi quindi queste molecole finiscono anche nei corsi d'acqua e infine in mare. Qui sono stati riscontrati effetti anche sul plancton e sugli stadi larvali o giovanili di insetti, pesci, anfibi e rettili. L'intera rete ecosistemica ne viene alterata, e spesso si danneggiano le stesse popolazioni di quegli animali insettivori che potrebbero essere fedeli alleati nella lotta contro le zanzare e altri parassiti.

BIOACCUMULO: tanto più una sostanza è stabile tanto più essa può persistere nei tessuti dell'animale che ha ingerito il biocida. In questo modo l’animale morto o moribondo può essere facile preda di altri, come un cane o un gatto domestico, oppure un animale selvatico o anche insetti. Perciò le sue carni, e ciò che esse contengono, possono entrare nella catena alimentare, andando incontro al fenomeno del bioaccumulo negli animali predatori o necrofagi. Per questi animali la dose di biocida in un’esca di per sè non è letale, ma la molecola si accumula nei loro organi, in particolare nel fegato, ogni volta che ne ingeriscono una piccola quantità. Volpi, gabbiani, falchi e rapaci notturni, e addirittura pesci come le spigole, possono quindi assimilare quantità sempre maggiori di biocida e infine rimanere intossicati o uccisi anche se non hanno avuto contatti diretti con le esche.

SELETTIVITÀ: queste molecole, soprattutto gli insetticidi, non agiscono in modo selettivo, cioè non uccidono in modo specifico le zanzare o gli insetti nocivi. Anche api, o altri insetti impollinatori vengono eliminati. Allo stesso tempo è utile precisare che nemmeno le zanzare sono tutte nocive. Alcune specie sono addirittura utilizzate dagli scienziati come "indicatori" di buona qualità degli ecosistemi. L'eliminazione indiscriminata degli insetti, soprattutto in primavera e estate ha un impatto fortissimo anche sulle altre specie presenti, prima di tutto sugli uccelli insettivori, come le rondini.

RESISTENZA ACQUISITA: tra i tanti effetti collaterali dell’uso indiscriminato e continuativo di pesticidi contenenti le medesime molecole biocide c’è il fenomeno della resistenza. Si tratta di una diminuzione della sensibilità degli animali bersaglio di questi prodotti fitosanitari, che può essere conseguenza di una modifica di tipo genetico e dunque ereditario. Solitamente l’efficacia di una molecola insetticida è legata alla sua capacità di interagire con un enzima, cioè una molecola funzionale naturalmente prodotta dalle cellule animali, e che è diretto frutto della presenza di un gene specifico nel DNA della specie infestante. Se questo gene, come spesso avviene, va incontro ad una mutazione genetica che cambia la struttura dell’enzima prodotto; quest’ultimo potrebbe non risultare più vulnerabile all’azione dell’insetticida, rendendo l’animale che possiede la mutazione resistente ai trattamenti. La conclusione di questo processo è che usare gli stessi prodotti biocidi favorisce l'eliminazione degli infestanti sensibili, ma permette la sopravvivenza selettiva degli individui resistenti che continueranno a proliferare. Successivi trattamenti perciò saranno via via sempre meno efficaci.